che Paolo Calvano, segretario provinciale del PD ferrarese, non sappia tenere a posto la bocca, fuor di metafora, lo dimostrano tutte le sue foto pubbliche e dei social network: perpetuamente sghignazzante, da solo o in compagnia, nonostante sulle sue spalle politiche gravi il peso della provincia più a lungo governata dall'ex pci e contemporaneamente più arretrata del resto della regione Emilia Romagna. Ora, da questo pulpito non esattamente invidiabile, arriva la deprimente lezioncina natalizia all'arcivescovo Luigi Negri, assecondata da qualche esponente di seconda schiera del PD ferrarese alla ricerca delle (fioche) luci della ribalta cittadina. Che dire? In primo luogo che il livello, purtroppo, è basso-rasoterra. Senza andare alla ricerca dei massimi sistemi della politica, e rimanendo nell'ambito locale, a nostra memoria non si ricorda un attacco così livoroso al pastore dell'arcidiocesi. Nemmeno ai tempi dei governi "bulgari" di Roberto Soffritti si tirava a palle incatenate - anche solo per semplici motivi di opportunità e diplomazia - contro il vescovo. Anzi, mi si lasci dire: quella stagione, rispetto a quella odierna, rifulge sempre più per buona creanza istituzionale. In secondo luogo, viene da chiedersi: dove sono i "mister preferenze" espressione del mondo cattolico che sono sui banchi della maggioranza cittadina? A tutti questi va bene incondizionatamente quel che dice il segretario provinciale (e futuro regionale) del loro partito? nulla da obiettare? E per finire, un consiglio a Paolo Calvano: se il suo livello di conoscenza della storia dei rapporti fra stato e chiesa è quello espresso nella sua pagina di Facebook, su Wikipedia ci sono dei riassunti decenti che possono evitare strafalcioni su medioevo, età moderna e contemporanea. Altrimenti sulle bancarelle dell'usato si trova ancora qualche manuale Bignami a prezzi modici.
"Brutta copia della bontà è la remissività o ripugnanza a crear contrasti" (Gilbert Chesterton)
lunedì 22 dicembre 2014
le perle del pd ferrarese
che Paolo Calvano, segretario provinciale del PD ferrarese, non sappia tenere a posto la bocca, fuor di metafora, lo dimostrano tutte le sue foto pubbliche e dei social network: perpetuamente sghignazzante, da solo o in compagnia, nonostante sulle sue spalle politiche gravi il peso della provincia più a lungo governata dall'ex pci e contemporaneamente più arretrata del resto della regione Emilia Romagna. Ora, da questo pulpito non esattamente invidiabile, arriva la deprimente lezioncina natalizia all'arcivescovo Luigi Negri, assecondata da qualche esponente di seconda schiera del PD ferrarese alla ricerca delle (fioche) luci della ribalta cittadina. Che dire? In primo luogo che il livello, purtroppo, è basso-rasoterra. Senza andare alla ricerca dei massimi sistemi della politica, e rimanendo nell'ambito locale, a nostra memoria non si ricorda un attacco così livoroso al pastore dell'arcidiocesi. Nemmeno ai tempi dei governi "bulgari" di Roberto Soffritti si tirava a palle incatenate - anche solo per semplici motivi di opportunità e diplomazia - contro il vescovo. Anzi, mi si lasci dire: quella stagione, rispetto a quella odierna, rifulge sempre più per buona creanza istituzionale. In secondo luogo, viene da chiedersi: dove sono i "mister preferenze" espressione del mondo cattolico che sono sui banchi della maggioranza cittadina? A tutti questi va bene incondizionatamente quel che dice il segretario provinciale (e futuro regionale) del loro partito? nulla da obiettare? E per finire, un consiglio a Paolo Calvano: se il suo livello di conoscenza della storia dei rapporti fra stato e chiesa è quello espresso nella sua pagina di Facebook, su Wikipedia ci sono dei riassunti decenti che possono evitare strafalcioni su medioevo, età moderna e contemporanea. Altrimenti sulle bancarelle dell'usato si trova ancora qualche manuale Bignami a prezzi modici.
giovedì 28 agosto 2014
Senza storia, che futuro?
In
un dibattito politico piuttosto autoreferenziale e asfittico, non hanno
avuto alcun tipo di reazione le dichiarazioni di Egidio Checcoli della scorsa
settimana, le quali invece avrebbero dovuto sollecitare una parvenza di discussione
pubblica. L’ex presidente di Legacoop, ricordiamolo, sottolineava
l’incongruenza di un PD in cui si commemora pubblicamente Alcide de Gasperi nel
sessantesimo della morte, e nulla o quasi si dice di Palmiro Togliatti nel
cinquantesimo della scomparsa. Checcoli rammentava (a parer nostro sbagliando)
le manganellate della polizia di Mario Scelba ai manifestanti comunisti
nell’Argentano come tratto distintivo dell’attività di governo nell’immediato
dopoguerra; il che sarebbe un po’ come dire che il PCI emiliano, nello stesso
periodo, si faceva riconoscere solo per attivisti che ammazzavano preti,
sindacalisti bianchi ed esponenti della DC.
Il
punto è però un altro: la storia politica
del paese non interessa a nessuno o quasi, quindi del passato si può dire tutto
e il contrario di tutto senza difficoltà. Nel PD dell’era Renzi troviamo
infatti un confuso “pantheon” in cui si trovano affastellati Enrico Berlinguer,
Aldo Moro e, appunto, Togliatti o De Gasperi. Il legame che unisce queste
figure? Forse il fatto che erano tutte brave persone? Può essere. E basta così?
Evidentemente per il partito di maggioranza relativa la risposta è “sì”.
E’,
insomma, l’uovo di Colombo. La nuova e rampante classe dirigente espressa dai
Democratici, ha scelto, a livello locale e nazionale, una modalità semplice ed
efficace per eliminare il problema della storia e dei suoi snodi, spesso
irrisolti: il passato, specie quello del XX secolo, non c’è più. Scelta
discutibile e radicale, ma che va incontro a un sentire diffuso, specie nelle
generazioni più giovani – e pure nella mezza età – : togliere di mezzo l’inutile
e ingombrante orpello del proprio albero genealogico.
Anche
solo dieci o venti anni fa, sostenere che la festa dell’Unità poteva essere
dedicata a De Gasperi avrebbe sollevato imbarazzo e ilarità, più che polemiche.
Eliminando il passato, invece, tutto è più semplice. Si tengono due o tre nomi
su cui non si sbaglia mai, che vengono usati come santini buoni per benedire
tutto e tutti, e il gioco è fatto. Il PCI e la DC in fondo erano uguali (cosa
sostenuta paradossalmente anche da alcuni epigoni locali di Beppe Grillo) e
comunque non è cosa che interessi molto, c’è da rottamare e c’è da cambiare
verso all’Italia.
Una
sparutissima pattuglia di studiosi locali (di cui mi onoro di far parte) una
decina di anni fa salvò dal macero l’archivio della DC e del PCI di Ferrara, la
famosa città d’arte e cultura. Alla luce dell’evoluzione del PD, la cosa pare
si sia rivelata inutile: il passato, infatti, è stato sterilizzato e congelato:
chi ha voglia lo mette nel microonde, altrimenti resta in freezer. In modo
involontariamente ironico, lo slogan della festa nazionale dell’Unità è “che
storia, il futuro”; a questo punto forse sarebbe più corretto chiedersi: “senza
storia, che futuro?”. E basterebbe guardare la mappa delle crisi che più ci
tormentano in questi giorni, per capire come, senza sapere la storia, non si va
da nessuna parte. Anzi, spesso si va a sbattere.
Andrea
Rossi.
giovedì 12 giugno 2014
Ciao Bartolo
L’11 giugno scorso è scomparso a Roma, improvvisamente, il segretario dell’associazione nazionale partigiani cristiani (ANPC), Bartolo Ciccardini. Adolescente e partigiano, poi esponente di spicco della sinistra democristiana, era persona mite, tenace e onesta, tenace difensore delle radici del movimento cattolico italiano. Due anni fa decise di impegnarsi personalmente, per sostenere e garantire l’esistenza dell’ associazione, depositaria della memoria di chi combattè la guerra di liberazione col fazzoletto azzurro di Enrico Mattei al collo. Gli ultimi mesi non sono stati felici per Bartolo, che davvero fino al giorno della scomparsa ha lottato e protestato per garantire i fondi necessari alla sopravvivenza dell’associazione, i quali sono stati dirottati altrove, in modo arbitrario e immotivato, causandogli immensa amarezza, specie per le improvvide rassicurazioni avute dai diretti interessati del (magro) beneficio. L’eredità che lascia, in una stagione fra le meno liete per il paese e per i cattolici impegnati in politica, è quella della speranza senza cedimenti al disegno della Provvidenza, che ci fa dire, comunque, anche nel momento di maggiore sconforto “omnia in bonum”, tutto concorre al bene, comprese le cose che oggi non capiamo e che ci addolorano. Personalmente, io che sono stato il suo vice in quest’ultimo scorcio della sua esistenza terrena, posso solo salutarlo con le parole di Benigno Zaccagnini, che ANPC ricordò nel novembre 2009 a Ferrara, con un convegno per il 20° anniversario della morte:
A vég par la mi strè
incontra a la mi guéra
s’a chésch a chesch in téra
e 'zzidèint a ch’i m’tò so.
Arrivederci Bartolo, grazie di tutto.
il tuo "vice".
martedì 11 febbraio 2014
la stanza del silenzio è una boiata pazzesca
Ho
provato a contare fino a dieci (e pure a cento), ma purtroppo è più forte di me;
la “stanza del silenzio”, inaugurata presso l’ospedale in stile
assiro-ferrarese di Cona, alla presenza dell’assessore Chiara Sapigni e al
direttore Gabriele Rinaldi, decorata con affresco degli studenti del Dosso
Dossi, e con l’accordo di tutti quanti i rappresentanti dei culti riconosciuti
e non, è a mio personalissimo avviso, una boiata pazzesca.
Aggiungo
che non sto meglio ora che ho fatto questa dichiarazione di contenuto
regressivo, reazionario e superficiale, ma almeno non sono costretto
pubblicamente a fingere che sia un passo avanti nella tollerante laica plurale
democratica e civile società ferrarese, emiliana e italiana. Lo squallido
spazio vuoto di alcunché, con un terrificante murale in cui viene riprodotto il
deserto e la goccia (a detta della stessa incolpevole autrice, unici simboli
che paiono non infastidire il politically correct de noàrtri), è la plastica
rappresentazione della civiltà in cui ci troviamo a vivere: il vuoto pneumatico
valoriale.
Qualcuno
dirà “allora togliamo anche la cappella”, per quanto mi riguarda sì,
togliamola; meglio che la casa del Signore resti lontana il più possibile da
questo terribile obitorio senza cataletto. Almeno non ci sarebbero infingimenti
su cosa debba o voglia rappresentare questo spazio pieno di nulla. Peraltro sul
finto rispetto dei culti ci sarebbe molto da dire: il cappellano di Cona non
più tardi di sei mesi fa fu esposto alla gogna mediatica cittadina da parte
dell’Arcigay per aver messo sulla sua bacheca una pagina di un quotidiano web
in cui veniva espresso il dissenso e la disapprovazione per la pseudo “legge
contro l’omofobia”. Al tiro al bersaglio, è bene ricordarlo, parteciparono in
ordine sparso un po’ tutti coloro che la scorsa settimana hanno applaudito alla
plurale laica civile e democratica inaugurazione della stanza del vuoto, a
dimostrazione di quanto rispetto reale ci sia per i valori spirituali
sbandierati al taglio del nastro di qualche giorno fa.
Si
potrebbero aggiungere tante cose, a partire dal fatto che in un ospedale
nuovantico dove piove nei corridoi o dove sprofondano le pensiline degli
autobus, le forme per manifestare attenzione ai pazienti e ai loro cari
potrebbero essere diverse, e i soldi meglio spesi, ma ammetto di non avere i
mezzi intellettuali per parlare di cose che non so, e mi rassegno quindi alla
protesta in stile fantozziano, rozza e incivile, in attesa di essere messo in
ginocchio sui ceci. Spero non nella “stanza del silenzio”…
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