lunedì 22 dicembre 2014

le perle del pd ferrarese


che Paolo Calvano, segretario provinciale del PD ferrarese, non sappia tenere a posto la bocca, fuor di metafora, lo dimostrano tutte le sue foto pubbliche e dei social network: perpetuamente sghignazzante, da solo o in compagnia, nonostante sulle sue spalle politiche gravi il peso della provincia più a lungo governata dall'ex pci e contemporaneamente più arretrata del resto della regione Emilia Romagna. Ora, da questo pulpito non esattamente invidiabile, arriva la deprimente lezioncina natalizia all'arcivescovo Luigi Negri, assecondata da qualche esponente di seconda schiera del PD ferrarese alla ricerca delle (fioche) luci della ribalta cittadina. Che dire? In primo luogo che il livello, purtroppo, è basso-rasoterra. Senza andare alla ricerca dei massimi sistemi della politica, e rimanendo nell'ambito locale, a nostra memoria non si ricorda un attacco così livoroso al pastore dell'arcidiocesi. Nemmeno ai tempi dei governi "bulgari" di Roberto Soffritti si tirava a palle incatenate - anche solo per semplici motivi di opportunità e diplomazia - contro il vescovo. Anzi, mi si lasci dire: quella stagione, rispetto a quella odierna, rifulge sempre più per buona creanza istituzionale. In secondo luogo, viene da chiedersi: dove sono i "mister preferenze" espressione del mondo cattolico che sono sui banchi della maggioranza cittadina? A tutti questi va bene incondizionatamente quel che dice il segretario provinciale (e futuro regionale) del loro partito? nulla da obiettare? E per finire, un consiglio a Paolo Calvano: se il suo livello di conoscenza della storia dei rapporti fra stato e chiesa è quello espresso nella sua pagina di Facebook, su Wikipedia ci sono dei riassunti decenti che possono evitare strafalcioni su medioevo, età moderna e contemporanea. Altrimenti sulle bancarelle dell'usato si trova ancora qualche manuale Bignami a prezzi modici. 

giovedì 28 agosto 2014

Senza storia, che futuro?

In un dibattito politico piuttosto autoreferenziale e asfittico, non hanno avuto alcun tipo di reazione le dichiarazioni di Egidio Checcoli della scorsa settimana, le quali invece avrebbero dovuto sollecitare una parvenza di discussione pubblica. L’ex presidente di Legacoop, ricordiamolo, sottolineava l’incongruenza di un PD in cui si commemora pubblicamente Alcide de Gasperi nel sessantesimo della morte, e nulla o quasi si dice di Palmiro Togliatti nel cinquantesimo della scomparsa. Checcoli rammentava (a parer nostro sbagliando) le manganellate della polizia di Mario Scelba ai manifestanti comunisti nell’Argentano come tratto distintivo dell’attività di governo nell’immediato dopoguerra; il che sarebbe un po’ come dire che il PCI emiliano, nello stesso periodo, si faceva riconoscere solo per attivisti che ammazzavano preti, sindacalisti bianchi ed esponenti della DC.
Il punto è però un altro: la storia politica del paese non interessa a nessuno o quasi, quindi del passato si può dire tutto e il contrario di tutto senza difficoltà. Nel PD dell’era Renzi troviamo infatti un confuso “pantheon” in cui si trovano affastellati Enrico Berlinguer, Aldo Moro e, appunto, Togliatti o De Gasperi. Il legame che unisce queste figure? Forse il fatto che erano tutte brave persone? Può essere. E basta così? Evidentemente per il partito di maggioranza relativa la risposta è “sì”.
E’, insomma, l’uovo di Colombo. La nuova e rampante classe dirigente espressa dai Democratici, ha scelto, a livello locale e nazionale, una modalità semplice ed efficace per eliminare il problema della storia e dei suoi snodi, spesso irrisolti: il passato, specie quello del XX secolo, non c’è più. Scelta discutibile e radicale, ma che va incontro a un sentire diffuso, specie nelle generazioni più giovani – e pure nella mezza età – : togliere di mezzo l’inutile e ingombrante orpello del proprio albero genealogico.
Anche solo dieci o venti anni fa, sostenere che la festa dell’Unità poteva essere dedicata a De Gasperi avrebbe sollevato imbarazzo e ilarità, più che polemiche. Eliminando il passato, invece, tutto è più semplice. Si tengono due o tre nomi su cui non si sbaglia mai, che vengono usati come santini buoni per benedire tutto e tutti, e il gioco è fatto. Il PCI e la DC in fondo erano uguali (cosa sostenuta paradossalmente anche da alcuni epigoni locali di Beppe Grillo) e comunque non è cosa che interessi molto, c’è da rottamare e c’è da cambiare verso all’Italia.
Una sparutissima pattuglia di studiosi locali (di cui mi onoro di far parte) una decina di anni fa salvò dal macero l’archivio della DC e del PCI di Ferrara, la famosa città d’arte e cultura. Alla luce dell’evoluzione del PD, la cosa pare si sia rivelata inutile: il passato, infatti, è stato sterilizzato e congelato: chi ha voglia lo mette nel microonde, altrimenti resta in freezer. In modo involontariamente ironico, lo slogan della festa nazionale dell’Unità è “che storia, il futuro”; a questo punto forse sarebbe più corretto chiedersi: “senza storia, che futuro?”. E basterebbe guardare la mappa delle crisi che più ci tormentano in questi giorni, per capire come, senza sapere la storia, non si va da nessuna parte. Anzi, spesso si va a sbattere.

Andrea Rossi.


giovedì 12 giugno 2014

Ciao Bartolo

L’11 giugno scorso è scomparso a Roma, improvvisamente, il segretario dell’associazione nazionale partigiani cristiani (ANPC), Bartolo Ciccardini. Adolescente e partigiano, poi esponente di spicco della sinistra democristiana, era persona mite, tenace e onesta, tenace difensore delle radici del movimento cattolico italiano. Due anni fa decise di impegnarsi personalmente, per sostenere e garantire l’esistenza dell’ associazione, depositaria della memoria di chi combattè la guerra di liberazione col fazzoletto azzurro di Enrico Mattei al collo. Gli ultimi mesi non sono stati felici per Bartolo, che davvero fino al giorno della scomparsa ha lottato e protestato per garantire i fondi necessari alla sopravvivenza dell’associazione, i quali sono stati dirottati altrove, in modo arbitrario e immotivato, causandogli immensa amarezza, specie per le improvvide rassicurazioni avute dai diretti interessati del (magro) beneficio. L’eredità che lascia, in una stagione fra le meno liete per il paese e per i cattolici impegnati in politica, è quella della speranza senza cedimenti al disegno della Provvidenza, che ci fa dire, comunque, anche nel momento di maggiore sconforto “omnia in bonum”, tutto concorre al bene, comprese le cose che oggi non capiamo e che ci addolorano. Personalmente, io che sono stato il suo vice in quest’ultimo scorcio della sua esistenza terrena, posso solo salutarlo con le parole di Benigno Zaccagnini, che ANPC ricordò nel novembre 2009 a Ferrara, con un convegno per il 20° anniversario della morte:

A vég par la mi strè
incontra a la mi guéra
s’a chésch a chesch in téra
e 'zzidèint a ch’i m’tò so.

Arrivederci Bartolo, grazie di tutto.

il tuo "vice".

martedì 11 febbraio 2014

la stanza del silenzio è una boiata pazzesca


Ho provato a contare fino a dieci (e pure a cento), ma purtroppo è più forte di me; la “stanza del silenzio”, inaugurata presso l’ospedale in stile assiro-ferrarese di Cona, alla presenza dell’assessore Chiara Sapigni e al direttore Gabriele Rinaldi, decorata con affresco degli studenti del Dosso Dossi, e con l’accordo di tutti quanti i rappresentanti dei culti riconosciuti e non, è a mio personalissimo avviso, una boiata pazzesca.
Aggiungo che non sto meglio ora che ho fatto questa dichiarazione di contenuto regressivo, reazionario e superficiale, ma almeno non sono costretto pubblicamente a fingere che sia un passo avanti nella tollerante laica plurale democratica e civile società ferrarese, emiliana e italiana. Lo squallido spazio vuoto di alcunché, con un terrificante murale in cui viene riprodotto il deserto e la goccia (a detta della stessa incolpevole autrice, unici simboli che paiono non infastidire il politically correct de noàrtri), è la plastica rappresentazione della civiltà in cui ci troviamo a vivere: il vuoto pneumatico valoriale.
Qualcuno dirà “allora togliamo anche la cappella”, per quanto mi riguarda sì, togliamola; meglio che la casa del Signore resti lontana il più possibile da questo terribile obitorio senza cataletto. Almeno non ci sarebbero infingimenti su cosa debba o voglia rappresentare questo spazio pieno di nulla. Peraltro sul finto rispetto dei culti ci sarebbe molto da dire: il cappellano di Cona non più tardi di sei mesi fa fu esposto alla gogna mediatica cittadina da parte dell’Arcigay per aver messo sulla sua bacheca una pagina di un quotidiano web in cui veniva espresso il dissenso e la disapprovazione per la pseudo “legge contro l’omofobia”. Al tiro al bersaglio, è bene ricordarlo, parteciparono in ordine sparso un po’ tutti coloro che la scorsa settimana hanno applaudito alla plurale laica civile e democratica inaugurazione della stanza del vuoto, a dimostrazione di quanto rispetto reale ci sia per i valori spirituali sbandierati al taglio del nastro di qualche giorno fa.
Si potrebbero aggiungere tante cose, a partire dal fatto che in un ospedale nuovantico dove piove nei corridoi o dove sprofondano le pensiline degli autobus, le forme per manifestare attenzione ai pazienti e ai loro cari potrebbero essere diverse, e i soldi meglio spesi, ma ammetto di non avere i mezzi intellettuali per parlare di cose che non so, e mi rassegno quindi alla protesta in stile fantozziano, rozza e incivile, in attesa di essere messo in ginocchio sui ceci. Spero non nella “stanza del silenzio”…